Stampiamo a Sassoferrato da quattro generazioni, i nostri antenati hanno iniziato a farlo nel 1892 e nel 2017 abbiamo festeggiato il 125° anno di attività. Veniamo dal piombo, dai torchi, dalle pianocilindriche, dall’offset. Il nostro passato ci riempie di orgoglio e per più di un secolo siamo stati al servizio di ogni esigenza di comunicazione e di cultura della nostra comunità, restando al passo dell’evoluzione del settore.

la TIPOGRAFIA GAROFOLI: storia e persone

La mia famiglia ha incominciato a interessarsi dell’arte tipografica l’8 gennaio del lontano 1892. Posso essere così preciso perché corrisponde al giorno in cui il padre di mia nonna paterna Itala, Temistocle Cianca, un imprenditore intraprendente e illuminato, al tempo operativo in diversi settori economici, acquista ad una pubblica asta, sulla piazza di Sassoferrato, tutta l’attrezzatura della tipografia fondata dieci anni prima dal fabrianese Angelo Palmucci, che era entrata in crisi ed era fallita per aver tentato una troppo veloce espansione (aprendo addirittura una succursale a Fabriano, dove al tempo già operavano diverse piccole realtà, ma soprattutto muoveva i suoi primi ma sicuri passi la tipografia Gentile, che aveva rilevato quella storica di Giovanni Crocetti, fondata all’inizio del secolo), e per la sua morte prematura, avvenuta qualche anno prima, nel 1888, che aveva lasciato in carico al giovane figlio Plinio un onere evidentemente troppo pesante.

Dopo un iniziale periodo di gestione commissariale e di assestamento, appianate l’anno successivo tutte le questioni economiche legate al fallimento, la tipografia di proprietà del bisnonno riprende ad operare nel 1894, dopo aver scelto come nuova ragione sociale il nome solenne e beneaugurante di Bartolo da Sassoferrato ed associato all’impresa Plinio Palmucci che, pur se giovane, conosceva bene il mestiere. Si dota anche di un promotore o – diremmo oggi – di un uomo immagine: Geronzo Alessandri, un tecnico amministrativo originario di Cagli che era giunto qualche anno prima a Sassoferrato come contabile dell’impresa che stava costruendo la tratta ferroviaria Fabriano-Pergola e vi era restato, bene integrato nella comunità, e che soprattutto è esperto di faccende tipografiche per aver ricoperto, su nomina del Tribunale Civile di Ancona, il ruolo di liquidatore nel fallimento della “Palmucci”.

La “Bartolo”, dotata dunque di adeguate forze organizzative e finanziarie e di nuove attrezzature, inizia a stampare intorno alla metà dell’anno 1894, dopo aver svolto una campagna promozionale per informare clienti vecchi e nuovi che l’azienda, oltre che torchi tipografici e intere gamme di caratteri di piombo e di legno nuovi ed aggiornati, può mettere a loro disposizione anche una modernissima e veloce macchina da stampa piano-cilidrica tipo “Marinoni”, da 70 x 100 centimetri.

Il lavoro tipografico corrente, in questi anni, consiste principalmente nelle forniture di carte intestate e modulistica ai Comuni, agli Enti assistenziali, alle imprese industriali ed artigiane ed ai liberi professionisti, essendo piuttosto rari i lavori di maggiore impegno, quali opuscoli o libri frutto dell’ingegno degli intellettuali locali. Un certo lavoro lo procura anche la stampa di manifesti, numeri unici e fogli volanti, di informazione o di polemica culturale e politica (preziosi documenti che ci dicono molto di quei tempo, ma che si sono purtroppo conservati solo in minima parte) o, meglio ancora, la stampa di fogli periodici. E proprio in questa direzione, utilizzando le sue conoscenze, si muove la promozione di Geronzo Alessandri, tanto che l’8 settembre 1894, pochi mesi dopo l’apertura, esce dalla “Bartolo” il primo numero de Il fischio della locomotiva, un periodico scritto e diretto da un gruppo di giovani pergolesi che decanta, anticipandola di qualche mese, la prossima apertura della linea ferroviaria Fabriano – Pergola, e che ha una discreta tiratura, venendo distribuito, oltre che a Sassoferrato e Fabriano, soprattutto nel pesarese. Ne usciranno, con periodicità settimanale, altri 4 numeri, mentre i successivi si stamperanno a Urbino, stazione di arrivo della costruenda tratta ferroviaria, dove probabilmente s’era trasferita l’intera redazione.

Verso la fine del suo primo anno di vita la “Bartolo” stampa anche una monografia sul francescano Beato Sante ed un curioso Almanacco igienico scritto dal dottor Francesco Garofoli, ufficiale sanitario del Comune, che, guarda caso, è l’altro mio bisnonno, sempre di parte paterna.

Tra aprile e maggio dell’anno successivo escono due interessanti numeri unici, intitolati Il Sentino, promossi da padre Luigi Tassi, un frate francescano di vedute piuttosto ampie, erudito e poeta, che abita a Sassoferrato nel convento de “La Pace”. Escono in occasione del transito del convoglio inaugurale col quale inizia l’esercizio ordinario della ferrovia Fabriano Pergola, un evento da tutti ritenuto epocale perché destinato a rompere l’incantato isolamento di queste zone interne.

Poi, stranamente, anche il destino della “Bartolo” inizia a declinare: il Comune, confrontando i suoi prezzi con quelli di tipografie di maggiori dimensioni, quali la Salvati di Foligno, chiede ed ottiene degli sconti che riducono notevolmente i margini di guadagno dei tre soci. Chi ne risente maggiormente è Plinio Palmucci, il quale ha moglie e quattro figli da mantenere e deve adattarsi a fare qualsiasi lavoro tipografico, anche stampandolo clandestinamente, come quando, il 21 luglio 1895, insieme ad altro materiale per le elezioni amministrative e provinciali, per conto di un politico della vicina Genga, mette sotto il torchio, senza indicare, come d’obbligo, la tipografia, dei manifesti che contengono blande illazioni sulla moralità di alcuni suoi competitori. Facilmente identificato dalle autorità e denunciato al Tribunale Penale di Ancona, nel febbraio dell’anno successivo Plinio Palmucci, che tra l’altro professa idee anarchiche e sta già meditando di emigrare per cercare miglior fortuna nelle Americhe, viene sanzionato con una pesante multa, che certo non contribuisce a risollevare lo stato debilitato della sua famiglia, né a rasserenare i rapporti con Temistocle Cianca, il socio finanziatore, e con Geronzo Alessandri al quale, essendo demandata la promozione, preme evidentemente il buon nome dell’azienda.

Sciolta la società a metà del 1896, Temistocle Cianca e Geronzo Alessandri, con le stesse macchine e, verosimilmente, negli stessi locali di proprietà comunale, nel palazzo degli Scalzi, inaugurano una nuova tipografia. Anche questa volta il nome scelto è importante: si chiama “Bodoniana” e dai suoi torchi, il 30 luglio, esce il primo numero di Poste e telegrafo, un periodico di alta tiratura che, trattando temi e problematiche della categoria, ambiziosamente si propone di rivolgersi e dar voce a tutti i postelegrafonici d’Italia. Lo dirige lo stesso Geronzo Alessandri, il quale, in passato, è anche stato il direttore dell’ufficio telegrafico di Cagli e dunque ben conosce i temi trattati. Tre soltanto sono i numeri del periodico che escono per i tipi della “Bodoniana”, oltre che una quantità imprecisata di moduli e carte per il Comune e per altri clienti, poi una malattia dell’Alessandri e la partenza per l’Argentina di Plinio Palmucci, privandola in un sol colpo del tipografo e dell’anima del periodico, la precipitano in una crisi che, a pochi mesi dalla nascita, ne determina la chiusura.

Il 15 gennaio 1897, con il numero 4, riprende ad uscire Poste e telegrafo. Lo stampa però una nuova tipografia, alla cui sorte, se non il nome più corrente e corrivo di “Economica”, giova certamente l’impegno maggiore, nella gestione e nella conduzione, che a questo punto è costretto ad assumere Temistocle Cianca. Al quale, in veste di garante e fideiussore, specialmente per quanto riguarda il regolare pagamento al comune dell’affitto dei locali dalla tipografia, si affianca il dottor Francesco Garofoli, che con ciò anticipa di tre lustri il diretto coinvolgimento della mia famiglia, che avviene allorquando il figlio Luigi, mio nonno, nel primo dopoguerra, ne assume la proprietà mutandone, per l’ultima volta, il nome e la ragione sociale. Ma di ciò tratteremo più avanti.

Il gerente della nuova azienda è il tipografo Nazzareno Nubola, un fabrianese di origine jesina al quale, anni prima, i Palmucci avevano affidato la tipografia fondata in quella città e denominato “Economica”. Questa tipografia, non sappiamo per quale ragione, non era restata coinvolta nel fallimento della casa madre ed era riuscita bene o male a sopravvivere, in una città culturalmente ed economicamente più evoluta di Sassoferrato. Temistocle Cianca, che in uno dei passaggi precedenti ne aveva evidentemente acquisito il controllo, ha adesso bisogno di un tipografo provetto e chiede al Nubola di spostarsi con la famiglia a Sassoferrato, lasciando a presidiare la “Economica” fabrianese non sappiamo se Attilio Franca o Giuseppe Vedova, tipografo valentissimo che qualche anno più tardi la rileverà, divenendone l’unico proprietario e portandola ad un livello di assoluta eccellenza, non solo locale.

Il nuovo assetto proprietario e gestionale si rivela finalmente adeguato, la tipografia lavora e progressivamente si consolida, radicandosi nella realtà economica, culturale e politica che risente anche da noi del clima spensierato e ottimistico della belle époque. Le forniture al Comune ed alle altre realtà locali riprendono e si sviluppano regolarmente, si stampano libri ed opuscoli commissionati anche dalle città vicine, mentre iniziano a diffondersi fogli periodici meno occasionali: a Sassoferrato, stampato da una tipografia istituita per l’occasione, la “Sociale”, vive, tra il 1899 e il 1904, un periodico intitolato Il Sentino, mentre dal 1903 al 1906 la “Economica” di Fabriano (e, per qualche numero, quella di Sassoferrato, a riprova del loro stretto collegamento) stampa Il raglio, un foglio fortemente polemico, di ispirazione socialista, che viene diffuso principalmente, ma non solo, nel fabrianese.

Temistocle Cianca, che continua a seguire e mantenere in vita attività commerciali molto differenziate, è soddisfatto dell’andamento della tipografia e, dopo un primo momento nel quale gli aveva affiancato il fratello minore Rinaldo (che “firmava” i suoi lavori, in verità piuttosto sciatti, come “Tipografia Economica – Cianca”), lascia che sia Nazzareno Nubola ad occuparsi non solo della direzione e della stampa, ma anche della gestione degli affari correnti, quali la fatturazione dei lavori forniti al Comune, gli acquisti, i contatti con i clienti, la gestione degli apprendisti e dei lavoranti necessari per soddisfare la quantità sempre crescente di lavoro, fino alla decisione di spostarla, anche per sua comodità, dal palazzo degli Scalzi in un vano al pianterreno della casa che abita, al numero 17 di Corso Vittorio Emanuele II.

È trascorso così, operosamente, tutto il primo decennio del ‘900 e i primi quattro o cinque anni del secondo quando entra “a bottega” Luigi Garofoli, mio nonno, il quarto figlio di Francesco, medico e ufficiale sanitario del Comune di Sassoferrato. È nato nel 1896, ha due sorelle che studiano da maestre mentre il fratello maggiore, Rudello, si sta laureando in medicina. Non so se ha iniziato ad interessarsi dell’arte della stampa per una naturale inclinazione o dopo aver conosciuto mia nonna Itala che, come abbiamo già visto, è una delle figlie di Temistocle Cianca. In ogni caso, una volta entrato, compie progressi talmente rapidi da riuscire, in breve tempo, a competere, nella composizione dei testi e nella stampa, con il più anziano Nazzareno Nubola.

Nel 1915, allo scoppio della guerra, viene chiamato alle armi ma non è inviato al fronte, bensì ad un reparto territoriale di stanza in Ancona, da dove, di tanto in tanto, può tornare a Sassoferrato, al suo lavoro di tipografo: gli è ormai chiaro, e anche il padre approva la sua scelta, che non appena sarà libero dai vincoli militari subentrerà, quanto meno come direttore, nella conduzione della tipografia, sostituendosi a Nazzareno Nubola. Intanto, dai primi mesi del 1916, inizia a “firmare” i lavori che personalmente esegue aggiungendo il suo cognome alla ragione sociale della tipografia: “Tipografia Economica – Garofoli”.

Gli anni della guerra trascorrono così, tra Ancona e Sassoferrato, fino a quando, smobilitato all’inizio del 1919, torna definitivamente, riprende il suo lavoro e poco dopo sposa Itala Cianca.

Questo marchio e questa ragione sociale, che durano tuttora, appaiono per la prima volta in una fattura inviata al Comune di Sassoferrato nel luglio del 1919 quando, finalmente, vuoi come dote portata dalla moglie Itala, vuoi come regalo del padre Francesco (la questione, in ogni caso di scarso rilievo, in mancanza di testimonianze dirette e inconfutabili, è destinata a restare irrisolta), la tipografia di Sassoferrato è completamente sua. Decide anzitutto di spostarla in un locale ampio e luminoso, aperto sulla strada, al pianterreno del bel palazzo che la famiglia possiede dall’inizio del secolo, in via Montecavallo, (dove resterà per molti decenni, esattamente fino al 2016, quando il costante incremento dell’attività ci obbligherà a cercare uno spazio più ampio ed adatto). Vi ricolloca la imponente piano-cilindrica “Marinoni” che non aveva mai cessato di lavorare (e che adesso fa bella mostra di sé nel Museo delle Arti e delle Tradizioni Popolari di Sassoferrato), il torchio e tutte le attrezzature che, via via, Temistocle Cianca aveva acquisito per la “Economica”; rinnova parte delle macchine e dei caratteri di piombo e di legno e, pur mantenendo i vecchi lavoranti, prende a bottega un giovanissimo apprendista che ho piacere qui di ricordare, per il ruolo di supplenza che tra qualche anno svolgerà: Alberto Agostini Ferretti, detto “il Tordo”.

Condotta con amore e competenza da mio nonno la tipografia effettua subito un salto di qualità: i lavori licenziati, riviste, numeri unici, libri ed opuscoli, sono sempre di una raffinatezza e di una accuratezza esemplari, ben impaginati e ben stampati, tra i quali meritano una citazione L’omino in frak, giornale di letteratura contemporanea diretto da Ignazio Drago, una curiosa figura di intellettuale, maestro e poeta di origine siciliana che, restando per poco tempo a Sassoferrato, riesce a stamparne soltanto due numeri nel 1923;

Gli amici dell’infanzia dispersa un periodico mensile di carattere sociale e religioso ad alta tiratura, diretto dalla maestra Edmea Sadori Salvioni, che esce per almeno quattro anni, dalla fine degli anni ’20 ai primi anni ’30;

La pace del ritorno, il primo libro di poesie di Raul Lunardi, una raffinata plaquette uscita nel 1930, per firmare la quale l’autore adotta il nom de plume di “Ugo Flavia”;

ed infine La freccia, un vivace e graffiante numero unico di 8 pagine stampato su carta gialla, che esce a Natale del 1932 ed è l’ultimo lavoro tipografico che mio nonno cura e vede stampato, perché muore, per i postumi di una caduta dalla motocicletta, esattamente un mese dopo, il 26 gennaio del 1933, a soli 37 anni.

I due figli, Francesco e Luciana sono minorenni e la titolarità della tipografia passa a mia nonna Itala, che la esercita solo per quanto attiene agli aspetti formali e burocratici, mentre la gestione quotidiana è affidata alla capacità ed alla fedeltà dei lavoranti, il più bravo dei quali, per velocità di composizione e pulizia di stampa, è senza dubbio “il Tordo”. L’attività, forte dell’immagine dinamica e di eccellenza impressagli da mio nonno, non conosce sostanziali flessioni, ma senza il suo slancio innovativo lentamente rifluisce in un onesto quotidiano che continua a fornire modulistica, manifesti ed opuscoli al Comune, carte intestate e da visita ai professionisti, ricettari ai medici, volantini per gli spettacoli cinematografici e teatrali e per la festa del Patrono e poco altro.

Nel 1946, con Armando Faggioni che, tornato dalla prigionia, ha sposato Luciana, la sorella di mio padre, ed è entrato in tipografia, la bottega artigiana, dopo tredici anni, ha di nuovo un titolare che ne assume la conduzione a nome della famiglia. L’attività, che nell’immediato prosegue con gli stessi ritmi e gli stessi clienti, inizia lentamente ad aumentare, risentendo anche del clima positivo che si respira nei primi anni del dopoguerra.

Dal fervore della ricostruzione ricevono infatti stimoli anche l’arte e la cultura, ed a Sassoferrato, promosse da alcuni intellettuali che vi hanno passato il periodo della guerra da sfollati e da giovani e promettenti artisti e studiosi locali, si organizzano delle mostre e si tengono conferenze sull’arte e sulla poesia. Mio padre, che fin da bambino ha naturalmente passato parte delle sue giornate tra carte, piombo ed inchiostri e che da poco ha iniziato ad Urbino studi d’arte, partecipa da protagonista a questi eventi e vi coinvolge la tipografia, dalla quale cominciano presto a uscire anche monografie storiche, brochure di artisti e soprattutto i cataloghi delle prime edizioni del “Premio Salvi”.

Questo clima fervido dura fino all’inizio degli anni ’60 e culmina, più o meno, con la pubblicazione di un numero unico di 12 pagine, curato da mio padre e intitolato La Strega, eco di vita sassoferratese, che forse si ripromette di regolare le successive uscite con una cadenza semestrale o al massimo annuale e invece, senza volerlo, chiude un periodo della vita cittadina ed anche una fase della tipografia. Avanzano gli anni ’60, la generazione che aveva vivacizzato il dopoguerra sassoferratese s’è dispersa, i più giovani partono per le grandi città, gli avvenimenti artistici locali hanno perduto la presa diretta e coinvolgente di un tempo e si svolgono in una crescente indifferenza. Mio padre insegna a Fabriano, è preso dal suo lavoro di artista e frequenta meno la tipografia, “il Tordo” va in pensione, un giovane e promettente apprendista, Ugo Stella, appreso il mestiere, apre una sua attività, mentre la storica “Garofoli”, condotta da Armando Faggioni, amministra quotidianamente, senza disperderlo ma senza neppure accrescerlo, il valore della sua esperienza e della sua immagine.

Fin qui la storia, raccontata da Luigi, nipote del fondatore, rappresentante della terza generazione dei Garofoli ma, al tempo stesso, ultimo esponente di una dinastia che, come abbiamo visto, a Sassoferrato pratica l’arte della stampa dal lontano 1892.

Luigi, che in verità, come il padre Francesco, è cresciuto a pane, piombo e inchiostro nella tipografia di famiglia, ne diviene il titolare nel 1987. Per qualche tempo prosegue il lavoro tipografico nel solco della tradizione, ma nuovi tempi e nuove tecniche cominciano ad affacciarsi con l’avvento dell’elettronica che sta rivoluzionando il mondo del lavoro e della produzione, così, nel 1991, entra in tipografia il primo Desktop Publishing, un computer collegato ad una stampante laser che trasforma e velocizza il lavoro della composizione e della stampa; poi fanno la loro comparsa due macchine offset, con le quali si amplia l’offerta e la clientela, e finalmente, nel 2006, entrano le prime macchine digitali, con le quali si apre la fase che la tipografia Garofoli sta attualmente vivendo, perfezionata nel 2012 con il passaggio al Web e nel 2016 – a fronte del lavoro aumentato e delle nuove risorse lavorative entrate in azienda – con l’abbandono della sede storica di via Montecavallo e il trasferimento negli ampi e luminosi locali di via Decio Mure.

Stampiamo a Sassoferrato da 4 generazioni, i nostri ascendenti hanno iniziato a farlo nel 1892, e nel 2017 abbiamo festeggiato il 125° anno di attività.

Veniamo dal piombo, dai torchi, dalle piano-cilindriche, dall’offset. Il nostro passato ci riempie di orgoglio e per più di un secolo siamo stati al servizio di ogni esigenza di comunicazione e di cultura della nostra comunità, restando, quanto possibile, al passo dell’evoluzione del settore.

Poi, favoriti anche dal ricambio generazionale, i nostri orizzonti si sono allargati, man mano che, sempre più decisamente, venivamo orientandoci verso l’adozione delle tecnologie di stampa più innovative e competitive e un più deciso aggiornamento del personale e delle strutture.

Ora, come allora, siamo in grado di offrire ad ogni necessità di comunicazione e di cultura dei nostri clienti – che adesso sono in tutta Italia – la nostra tradizione, la nostra etica professionale, la nostra esperienza e la nostra creatività.

Luigi Garofoli

Un ringraziamento doveroso agli amici Alvaro Rossi e Lucio Lucci, per l’accurato lavoro di ricerca che ha permesso di ricostruire la storia secolare della nostra tipografia.

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